Una delle prime forme di pagamento “senza denaro fisico” è sicuramente rappresentato dal bonifico, ossia il passaggio telematico di somme di denaro tra due parti dotate di codice IBAN, identificativo (in Italia è formato da 27 caratteri). Un tempo appannaggio quasi esclusivo per i correntisti, negli ultimi anni ha trovato nuove applicazioni grazie anche all’home banking, ossia la possibilità di effettuare le operazioni bancarie direttamente dal proprio smartphone/computer.
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I governi incentivano l’uso dei bonifici in quanto tracciabili al 100 %: ciò ovviamente ha parzialmente allertato e preoccupato una buona fetta della popolazione, sopratutto chi tende a fare molti “movimenti” dal punto di vista finanziario.
Un bonifico può essere effettivamente “segnalato” per attività sospette oppure in relazione ad importi, anche se non esiste un vero e proprio “limite” relativo alla quantità di denaro che è possibile inviare/ricevere attraverso i bonifici (a differenza dei pagamenti con contanti, quelli si regolarmente limitati) ma se un determinato passaggio di denaro non viene segnalato al fisco in maniera precisa potrebbe essere segnalato all’Agenzia delle Entrate da parte dell’istituto di credito. I controlli tuttavia non avvengono su ogni forma di bonifico, ma sono rilevati a cadenza regolare.
In buona sostanza, l’Agenzia chiede al contribuente la natura di quel passaggio di denaro attraverso opportuna documentazione, che ne attesti la motivazione: se questo non avviene la verifica viene intensificata e vengono programmate delle specifiche sanzioni, seguite da un avviso di accertamento, senza neanche chiedere spiegazioni. Ciò è dovuto da un semplice dato: qualsiasi forma di “spostamento” di denaro tra due parti che non trova “giustificazione” o altra spiegazione, viene interpretata dallo stato come un’evasione fiscale.
Qualora non si riesca a dimostrare la “trasparenza” di questi movimento di denaro, il contribuente può fare ricorso al giudice, che deciderà sull’eventuale natura dei bonifici in esame.