Il Reddito di Cittadinanza da misura legata ad una forma di reintegrazione nel mondo del lavoro, è divenuto un vero e proprio ammortizzatore sociale, utilizzato da una larga percentuale di italiani ma che fin dal principio è stata considerata come una forma di “spreco” da parte dell’opposizione composta prevalentemente dai partiti di centro destra (ma non solo) mentre è stata una vera e propria forma di misura centrale da parte di forze come il Movimento 5 Stelle, che nel corso del governo Conte I hanno fortemente “spinto” per la sua applicazione, che è stata confermata anche dai successivi governi. Quello governato da Giorgia Meloni ha da sempre avuto una posizione contraria, anche se non è ancora chiaro se la volontà è realmente quella di abolire il Reddito di Cittadinanza.
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Al momento infatti l’esecutivo Meloni non ha ancora preso una posizione “netta” dopo la campagna elettrale, anche se l’intenzione palesata è quello di renderlo più “difficile” da ottenere e mantenere. Il Reddito di Cittadinanza ha comunque nel bene o nel male rappresentato una forma di sostentamento importante.
Tra le criticità palesate dal RdC spicca l’incapacità di questo strumento di creare posti di lavoro: ecco perchè uno dei punti saldi della riforma che sarà orientata a rifondare il Reddito di Cittadinanza è legato a “paletti più stringenti”. Ad esempio l’idea è di limitare l’acquisizione del reddito a 18 mesi, poi la persona non ha trovato un lavoro, viene sospesa dal sussidio e inserita per sei mesi in un percorso di politiche attive del lavoro. Inoltre il RdC sarebbe annullato a fronte di un primo e unico rifiuto di offerta di posto di lavoro.
L’impressione è comunque quella di voler rifondare e non abolire in toto il Reddito di Cittadinanza, quanto più di potenziare il suo essere incidente in ambito lavorativo.
Andranno comunque ridefiniti i parametri secondo i quali sarà congruo rifiutare o meno offerte di lavoro senza perdere il sussidio.